LA MIA VITA DEDICATA AL PROSSIMO

La Croce al centro del mondo

 

Libro di preghiere e canti con le raffigurazioni delle Stazioni della Via Crucis riportati su tela. Viene scritto e dipinto da Luciana Cannatà su ispirazione divina.

 

 

Il Signore dice: “Io sono la vite, voi i tralci”. La Croce è l’albero della vita. La grazia della certezza è Gesù del dolce vino che si immola nella sua crocifissione, indispensabile per la gloria eterna, per la vita immortale. Essa è la via del credente. L’umanità intera ancora oggi trema di fronte al mistero della Croce, mistero trinitario. Chi non la abbraccia non vive la vita! Tutti siamo consapevoli che Gesù il Nazareno è l’uomo più discusso nella storia di ogni tempo, proprio per essere stato inchiodato dai nostri peccati, perseguitato da pregiudizi, cattiveria, disumana insolenza ed invidia. Le vie della Croce sono infinite così come infinita è la falsità dell’uomo. È insito nell’uomo il tradimento, persino il fratello o l’amico ne è assoggettato. Anche nella storia dell’oggi martoriato e offuscato da supremazie di domino globale, l’agire dell’uomo è spesso motivato dai “trenta denari”,c’è sempre presente il “bacio” di Giuda. Non è uno spettacolo decoroso scatenare nel cuore dell’uomo tutto ciò, restare prigionieri di questo avido scenario. Dobbiamo dare vita e fare appello alla freddezza del nostro cuore e chiederci se siamo coscienti che la Croce sia l’unica strada da seguire con lealtà, in una sintesi concreta, senza alcuna perplessità, nella logica che Cristo dalla sua Croce abbraccia l’umanità, con ardore immortale, pieno di carità e misericordia. Allora, innanzi ad essa dobbiamo prostrarci in ginocchio, chiedendo perdono per il peccato, attraverso l’Uomo-Gesù che muore per tutti noi perché dalla Croce si muore e da quella stessa Croce si risorge a vita eterna. In questo doloroso cammino onoriamo il Crocifisso per dare una grande vittoria a chi ha vinto il mondo per amore, nella gloria eterna. Mettiamo in conto che dobbiamo confrontarci da un lato con la nostra miseria e pochezza umana e dall’altro con la grandezza divina di quel legno fatale dove il Cristo viene immolato, quale Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, e ci raccoglie a Sé. Questa Croce che sanguina ancora nella Sua cruda realtà, dove la verità è l’amore universale (l’agape), brilla di luce propria. Eleviamo un canto vittorioso, caldo come il velluto, nella speranza che il simbolo della Croce sia l’identità dell’amore in Cristo e viva per Cristo. La sua Redenzione ad essa è la strada maestra indicata da Cristo Re dell’amore universale che porta al mondo il sole che brilla, nella lucentezza dei frammenti di ghiaccio, come cristalli da mille scintille, e forma infiniti colori su petali d’amore e carità. Imitiamo Maria, che è madre, oltre ad essere la madre di Gesù è anche la madre nostra, una madre premurosa, una madre che chiama, che ama fino alla morte ed oltre il figlio, che lo segue per tutto il Suo percorso di vita e in cielo. Come ogni mamma sente la sofferenza del figlio ma rimane nell’ombra, racchiusa nel suo silenzio, e come dice il vecchio Simeone “anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Cristo che visita tutti i giorni i nostri cuori e visita tutte le vie del mondo possa esserci di conforto, di sostegno, di aiuto, di crescita nella fedeltà a Dio e a noi stessi, perché quando si ha rispetto per se stessi si ha rispetto anche per gli altri.

 

Luciana Cannatà

 

Il libro della prima edizione, dedicato al Santo Padre Benedetto XVI, viene presentato ufficialmente il 18 marzo 2007 presso i locali dell’Auditorium San Paolo dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova, contemporaneamente all’inaugurazione della sua personale di “Pittura Sacra”.
La manifestazione è stata patrocinata
dal Comune di Reggio Calabria,
dall’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria,
dall’Università della Terza Età di Reggio Calabria e
dall’Associazione Maria SS. Immacolata Fonte di Grazie di Rosarno.

Si sono succeduti negli interventi i Relatori:

– Prof. Piero Gaeta (Magistrato)

– Prof. Monsignor Antonello Foderaro (Teologo)

– Prof. Glauco Morabito (Filosofo)

– Dott. Cosimo Caridi (Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria), che ha rappresentato e letto la relazione del critico

Prof.ssa Milena Vecchi (docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria)

Moderatore e Presidente del convegno è stato il Prof. Antonino Monorchio, Psichiatra, docente di Psicologia della Religione all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Reggio Calabria e Presidente dell’Associazione “ Maria SS. Immacolata Fonte di Grazie “.

 

Da sinistra: Dott. Cosimo Caridi, Prof. Piero Gaeta, Luciana Cannatà, Prof. Antonino Monorchio, Prof. Monsignor Antonello Foderaro, Prof. Glauco Morabito

 

L’intervento del Prof. Antonino Monorchio

Se guardiamo alla passione di Nostro Signore, ci poniamo tutti la domanda su fino a dove può spingersi Dio. L’inno cristologico della Lettera ai Filippesi ci dà una immediata risposta.
“Fino alla morte ed alla morte di croce”.
Parole queste che testimoniano. nella loro scarna essenzialità, l’irruzione veemente dell’amore di Dio nella vita dell’uomo. Un amore fino alla morte. Amore che non ha parole. Soltanto l’arte può, rappresentativamente, come ha fatto Luciana Cannatà, introdurci in questa conoscenza amorosa dell’umiliazione mortificante ed atroce del Crocifisso.
Ed è in tale sentita e profondamente vissuta esigenza contemplativa che l’Autrice della Via Crucis, ci ha consegnato nella trasfigurazione dell’arte, la sua esperienza mistica, scandalo per l’intelligenza ma icona della universalità salvifica della gloria di Dio.
Da ciò nasce lo zelo della preghiera che, illuminando gli aspetti iconografici e contemplativi di questo piccolo libro, promuove la considerazione rammemorante sull’universalità della vita mistica che, nel rivissuto percorso della passione di Cristo , è vocazione alla felicità e certezza della resurrezione.
Perciò questo libro ravviva la fede e ci ricorda che la Croce è salvezza e sostegno del mondo.

( Dalla presentazione del Prof. Antonino Monorchio )

 

 

L’intervento del Prof. Piero Gaeta

“Vi ho riuniti tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia”.
L’Apostolo Paolo descrive in una frase la condizione per poter pensare al mistero della Croce, in generale – direi – per poter pensare. La condizione – egualitaria quanto la morte – del peccato, che ci accomuna in una umanità, diversissima in tutto il resto, ma parificata in questo; la misericordia, che egualmente ci solleva tutti, distribuendo amore infinito a tutti, senza distinzione.
Così, ad una umanità che si affanna nei misteri della disuguaglianza della vita (”perché proprio io … “; “cosa ho io di diverso da … “) e nella ricerca affannata di una eguaglianza di diritti, la Croce risponde che l’eguaglianza – l’unica possibile, l’unica immaginabile, la più importante – è ai punti estremi della nostra condizione umana: tutti uguali nella caduta; tutti uguali nell’ amore che ci solleva.
L’umanità è raccolta tra questi due lembi ideali e la storia del mondo vi sta in mezzo.
Il peccato ci fa riscoprire il nostro bisogno d’amore, la necessità di una misericordia cieca ed infinita, tanto più bramata ed invocata, quanto più la caduta ci porta giù, nel gorgo, facendoci dubitare, in alcuni momenti, della nostra stessa umanità. Solo l’amore di Dio ci restituisce alla nostra piena condizione umana: e, dunque, solo attraverso esso possiamo davvero pensare, essere nella storia, relazionare con gli altri, perché cessiamo di essere monadi disperate, in caduta.
Luciana Cannatà trasmette tutto questo attraverso versi semplici, ispirati, ed immagini essenziali. Le riflessioni che accompagnano le stazioni della Via Crucis sono sobrie, misurate: ma non sono mai rugose, aride: ad esprimerle, sono sempre parole aurorali, festive, “inondate di sole e sorvolate di stelle”, come recita un verso di Yeats. E, dietro l’apparente povertà del dire, si intravede molto altro: come se la semplicità tendesse al massimo la possibilità semantica di ogni parola, fino a trasformarla in un peso intollerabile, per il lettore.
Ed è quello che chi scrive questi pensieri sparsi a mo’ di introduzione – che non è teologo, né studioso della Scrittura, ma solo pessimo credente – ha provato leggendo: effetto identico a quello provato, nella recita del Rosario comunitario, con lei, nella cappellina di Bosco di Rosarno.
Una sensazione strana e progressiva: come se l’assoluta semplicità – che è anche il tratto, assieme ad una infinita dolcezza, che più colpisce di questa donna – spiani la via ad abissi, dove «solo tu, o Cristo puoi scrutare ogni pensiero, ogni menzogna, ogni falsità e verità», come si legge nella riflessione alla prima stazione.
Quella di Luciana Cannatà è una preghiera semplice, ma in realtà non facile, perché proviene da una spiritualità profondissima: che è consapevole, prima di tutti, della propria condizione di peccatrice. E’ una riflessione che prende proprio perché assolutamente umana: esponendo la propria caducità, essa viene condivisa con gli altri e, dopo aver attraversato, come una lama d’angoscia, l’anima, le riporta la speranza, la sicurezza della misericordia.
Con la stessa semplicità.
Così, ad esempio, non potrebbe esprimersi con maggiore intensità la condizione di Cristo in attesa, da Pilato, del più iniquo ed assurdo dei verdetti; parole che mettono i brividi, nella loro esile asciuttezza: «Ansima ed aspetta la sentenza, il verdetto di morte. Nessuna difesa e nessun difensore. Il silenzio manifesta la sofferenza degli innocenti».
lo, uomo di legge, sono costretto allora a confrontarmi, ripercorrendoli mentalmente nell’intero arco della mia vita, con tutti i silenzi che ho generato, con tutte le difese che ho bocciato, con tutto l’umano ansimare dei miei imputati che non ho sentito. Con la mia arrogante “attitudine” a giudicare gli altri, per nulla sfiorata dal pensiero della mia inadeguatezza: ritenendo, insomma, che il lavoro quotidiano – come mille altre cose della quotidianità – fosse sottratto alla caducità della condizione del peccato, fosse “altro” rispetto a tutto ciò.
Ma poche, essenziali parole di Luciana Cannatà danno la percezione immediata dell’esatto contrario: che, cioè, la Croce o è una presenza quotidiana o non è; o è qualcosa che non rivive affatto solo come distante simbologia religiosa, ma che costituisce la concretezza stessa del nostro vivere oppure diviene solo una contraffazione umana e comoda.
In realtà, non posso fare il giudice, senza pensare costantemente alla somma ingiustizia del giudizio più famoso ed infame; e non posso sentire il silenzio della sofferenza di chi è da me giudicato, senza ricordare quello ansimante di chi ha ricevuto il segno più vistoso della giustizia umana. Voglio dire: questa riflessione sulla Via Crucis brucia perché squarcia la nostra quotidianità, non prescinde da essa, la impasta, la sprofonda. «E’ la caduta di ogni uomo che lungo la via della vita ci perseguita nella stanchezza … », come scrive la signora Luciana. La caduta è quella del giudice con i suoi imputati, del medico con i suoi malati, del collega con i suoi colleghi, del marito con i suoi figli, della moglie con il suo marito: è la caduta di ognuno e di tutti, che “ci perseguita nella stanchezza”.
Perché cadere è facile quanto sfiancante: si cade per stanchezza ed il cadere aumenta la stanchezza, la difficoltà di rialzarsi, e così via.
Perché c’è un’abitudine al peccato, un adagiarsi su di esso, illudendosi che ci si possa riposare: soprattutto, c’è la difficoltà a credere che, dopo la caduta, ci sia qualcuno disposto a rialzarci. Una, cento, mille, infinite volte.
Ma Lui non si è adagiato, dopo essere caduto, non si è lasciato andare. E Lui ci ha rialzato e ci rialzerà sempre, per ogni nostra caduta, fino alla fine dei tempi: e noi, ciascuno di noi, si appoggerà a lui, e ne sarà sostenuto.
Si è infatti «donato senza patteggiare», non ha rifiutato fino in fondo di portare la Croce, che, così, è divenuta “segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (L c, 2, 35).
La contraddizione. Sono i miei pensieri, quelli dei miei colleghi di lavoro, dei miei familiari, sono i pensieri di ogni uomo che non accetta fino in fondo la propria felix culpa, il proprio peccato come occasione di riscatto d’amore e non di mortificazione, di grandezza divina, piuttosto che di bassezza umana.
Tutto questo è detto con parole eccezionalmente efficaci, quindi poetiche, da Luciana Cannatà: esse rendono perfettamente la difficoltà di questa «via dolorosa delle nostri croci» ed, al tempo stesso, questa infinita carità divina che «mi rimane impressa … e vorrei saperla imitare»; di questa Croce, che contraddice la nostra umanità, piana e riposata, per tracciare un cammino «più faticoso ed affannoso», nel quale «ancora una volta perdo la forza umana». Scoprendo, subito dopo, che la Croce è anche un invito irresistibile: quello di affidarsi, di lasciare che Lui faccia, che il Suo amore operi, anche quando ci chiede di «accettare tutta la sofferenza», senza disperderla, senza banalizzarla, perché diventi speranza.
Perché, come scrive Luciana, io, dalla miseria del mio peccato, possa offrire «la povertà del mio perdono e l’amore che nessuno può proibire, nessuno può inchiodare».

( Dalla presentazione del Prof. Piero Gaeta)

 

Prof. Monsignor Antonello Foderaro

 

Dott. Cosimo Caridi

 

Prof. Glauco Morabito

Prof. Marsico

 

Prof. Alessandro Versace